Mi chiamo Sara. Sono sempre stata una
bambina molto solare ed espansiva.
All’asilo mi chiamavano Candy, per via
delle mie gote rosse e dei capelli biondi e ricci.
Avevo sempre un sorriso per tutti.
Non sapevo, però, che, col passaggio
alla scuola elementare, la mia vita sarebbe cambiata. Irrimediabilmente.
Avrò avuto circa sei anni, infatti,
quando, per ragioni tuttora ignote, cominciai a diventare sempre più paffuta,
fino a sembrare molto più grande della mia età. Anzi, molto più “larga”,
diciamo.
Gli amichetti presero a coinvolgermi
sempre meno nei loro giochi pomeridiani, e il banco accanto al mio restava,
spesso, vuoto.
Perché si sa, i bambini sanno essere
crudeli, seppur inconsciamente. Non sanno ancora cosa significhi ferire gli
altri, né che quei momenti resteranno scolpiti nell’anima eternamente.
Infatti, il mio peso aumentava di pari
passo alla mia fragilità.
I sorrisi radiosi lasciarono presto
spazio agli sguardi cupi e assenti, l’euforia a una tristezza perenne.
Sebbene i miei genitori continuassero a
spiegarmi che l’aspetto esteriore conti poco o nulla in ciascuno di noi, non
riuscivo più ad osservare il mondo con gli stessi occhi gioiosi, né a
relazionarmi con i miei coetanei, con la spensieratezza che mi
contraddistingueva.
In fondo, cosa potevano saperne loro di
quanto facesse male non essere invitata alle feste di compleanno dei miei
compagni, o non avere nessuno con cui chiacchierare durante la ricreazione.
Ormai, preferivo restarmene in disparte,
a scrivere.
Custodivo gelosamente un diario segreto
sul quale annotavo ogni delusione, ogni turbamento. Tuttora lo rileggo, nei
momenti di sconforto.
Confidarmi con la mia unica amica,
Stefania, non mi riusciva più così semplice, poiché avevo sviluppato un forte
senso di colpa nei confronti della mia condizione. Se avessi evitato tutte
quelle merendine, ad esempio, probabilmente sarei stata magra come lei. Ma mi
piacevano, Dio solo sa quanto, e, con l’ingenuità di quegli anni, pensavo che,
crescendo, sarei dimagrita.
Ricordo ancora, con immenso dolore, una
mattina del 1995.
Frequentavo la seconda elementare. Purtroppo,
i miei finti malesseri non bastarono a convincere la maestra a farmi saltare
l’ora di ginnastica. “Prova almeno a giocare a pallavolo con le tue compagne”
mi disse. Accettai.
Peccato che, mentre indietreggiavo per
colpire il pallone, scivolai, cadendo rovinosamente al suolo. Pasquale, quindi,
cominciò a ridere, sostenendo che rotolassi molto meglio della palla, e che
giocare utilizzando me sarebbe stato più divertente. Anche tutti gli altri presero
a schernirmi, finché corsi a nascondermi in bagno.
Quel giorno decisi che non sarei più
tornata a scuola ma, ovviamente, mia madre non fu d’accordo, e mi costrinse ad
andarci sin dalla mattina seguente.
In verità, non le raccontai l’accaduto,
perché me ne vergognavo profondamente, e non volevo parlarne con nessuno.
Anche la mia media scolastica si abbassò
progressivamente, ma nessuno sembrava cogliere la vera motivazione alla base
del tutto.
Oggi, i giornali lo chiamano bullismo,
e, ahimè, è abbastanza frequente sentirne parlare.
Vent’anni fa, però, era quasi normale
che i bambini prendessero in giro la più cicciottella della classe, quella con
le lentiggini, o la meno diligente. Neppure le insegnanti si prodigavano troppo
affinché certe dinamiche cessassero di verificarsi.
Probabilmente, non sapevano ancora ciò
che avrebbero comportato.
Nemmeno al
liceo, purtroppo, la situazione migliorò.
La dolce Candy lasciò il posto a
“Sarona”. Non era affatto edificante sentirmi chiamare così per i corridoi
della scuola, proprio in quella fase dell’adolescenza in cui già la mia autostima
rasentava lo zero.
Eppure, il peggio doveva ancora venire,
ma non potevo saperlo.
Dopo poche settimane dall’inizio del
primo anno, uno dei ragazzi più carini e ambiti della scuola, cominciò a
corteggiarmi.
Nessuno riusciva a spiegarsi perché,
nonostante avesse le più belle ragazze della città ai suoi piedi, potesse
interessarsi proprio a me, ma Emanuele sembrava non demordere.
Una volta mi fece arrivare persino una
rosa rossa in classe, con un biglietto su cui scrisse: “Il vero fiore sei tu.
Amati. Manu”.
L’emozione fu così forte che decisi,
finalmente, di cedere alle sue lusinghe, concedendogli un appuntamento. Ci saremmo
incontrati quella stessa sera, al tramonto, davanti all’ingresso del liceo.
Emanuele fu puntualissimo. Mi portò in
dono una scatola di cioccolatini.
Dopo un’oretta di chiacchiere e risate, mi
baciò, senza che avessi neppure il tempo di capacitarmene.
Era il mio primo bacio e, ahimè, fu
anche l’ultimo, per moltissimo tempo a seguire.
Immediatamente, infatti, Emanuele
scoppiò a ridere.
“Quel cretino di Nicola pensava che per
trenta euro non avrei avuto il coraggio di baciare una cicciona. Ma dai, era
solo una scommessa. Un figo come me non poteva mica innamorarsi di una
mongolfiera. Non dirmi che ti eri illusa davvero! Ti ho portato anche i
cioccolatini. Per quelle come te dovrebbero essere la miglior consolazione!”.
Non ebbi la forza di pronunciare
un’unica sillaba, e fuggii via in un baleno.
Tornai a scuola dopo tre giorni,
sperando che, nel frattempo, fosse accaduto qualcosa di più interessante di cui
sparlare. E invece i miei demoni mi attendevano all’ingresso di quel liceo che
già si era trasformato in un incubo, sebbene il mio percorso fosse solo
all’inizio.
A distanza di molti anni, le parole di
Emanuele rimangono scolpite nella mia mente, dove rimbombano ogni singola volta
in cui considero l’idea di avere una storia d’amore con qualcuno.
Oggi, ho
trent’anni.
Mi sono laureata in giurisprudenza col
massimo dei voti, ed ho brillantemente superato l’esame di abilitazione alla
professione, ma preferisco restarmene nelle camere segrete a gestire gli
archivi.
Non avendo mai superato i miei
complessi, non mi sento pronta per partecipare ad un’udienza ed affrontare una
giuria. L’ennesima.
Perché tutta la mia vita altro non è
stato che un continuo processo, in cui vestivo, contemporaneamente, la parte
dell’accusa e della difesa, senza, però, uscirne mai vittoriosa.
Non ho figli, e non ne desidero. I miei
chili sono ancora troppi per questa società e, anche solo per ragioni
genetiche, i miei bambini potrebbero essere obesi come me, rendendomi una madre
impotente.
Al di là di questo, però, il vero
problema è che non ho nemmeno un fidanzato.
Prima di poter anche solo pensare di
spogliarmi per un uomo, dovrei riuscire a guardarmi allo specchio senza
disprezzarmi, ma questo, probabilmente, non accadrà mai.
Qualche tempo fa, ad esempio, un mio compagno
di università, Fabio, cominciò a corteggiarmi. Più ascoltavo le sue lusinghe, e
più pensavo che, da qualche parte, doveva nascondersi il tranello.
Non ebbi il coraggio di raccontargli il
mio vissuto. Mi limitai ad allontanarlo, per difesa, e così faccio con chiunque
provi ad accostarsi a me.
Perché, quando per trent’anni, allo
specchio, vedi solo una cicciona fallita, emarginata e derisa dalla società, ti
convinci di non meritare nulla, di essere sbagliata.
E, probabilmente, io sono solo questo.
Un errore. Uno scherzo del destino che mi costringe a vivere in un corpo che
non sento mio, ma che non ho la forza di abbandonare, poiché le mie diete
durano, al più, tre settimane.
Non so se il dolore che ho nel cuore
passerà mai, anzi, ne dubito. So soltanto che non auguro a nessuno i miei
trascorsi, perché il bullismo non è un gioco, ma una cosa seria. Serissima.
Il bullismo ti cambia la vita.
Si,condivido tutto ció che hai detto, il bullismo ti cambia la vita,ti cambia l'anima. Puoi anche essere la bambina piú dolce di questo mondo,ma in tale situazione ti auguri che l'altro possa vivere e provare solo 1/4di cio che senti tu.....a quel punto inizi a pensare ma perché proprio a me??? Piangi e ti disperi nonostante tu sia stata sempre una bambina solare.... L'unica cosa che mi resta da dire e pensare é che i bambini sanno e possono essere tanto cattivi, ma reputo la colpa della società,dei modelli che impone e dell'educazione che penso non sia stata data come si dovrebbe dare...... Il bullismo Ti cambia il modo di guardare le cose,ti cambia caratterialmente, ma cosa più brutta é che cambia gli occhi con cui di guardi, gli stessi occhi che non ti faranno più apprezzare quella che sei e che cercheranno sempre qualcosa in te che non andrà bene per qussto ti sentirai sempre giudicata dalla gente!!!
RispondiEliminaPurtroppo, mi viene la pelle d'oca se penso che, alle elementari, per tutti era quasi normale prendere in giro la compagna con i capelli troppo arruffati, o quella con la esse moscia. E non lo si faceva per cattiveria, ma per gioco.
EliminaPer fortuna, gli sfottò non finivano mai in lacrime.
Quindi, penso che, per quanto i genitori possano impegnarsi per dare il buon esempio, spesso i bambini agiscono spontaneamente, seppur inconsci della propria cattiveria.
Il segreto è, magari, accertarsi che tutto ciò non comporti disagi in coloro che ricevono determinati apprezzamenti, e rimanga semplice goliardia.
In caso contrario, sarebbe giusto che docenti e genitori si unissero per trovare una giusta soluzione al problema.
Insomma, no al bullismo tutta la vita.
Intanto, confido nel buon senso che riuscirò a trasmettere a mio figlio...
Penso che di base ci sia l'educazione non perché i genitori non l'abbiano data,mi rendo conto che il lavoro del genitore sia il mestiere più difficile al mondo,ma magari hanno insegnato "grazie","prego", "posso"," per piacere ", buongiorno " "buonasera" e cosi via...ma non che:ogni bambino é diverso esteticamente ma che sempre bambino rimane e ke non bisogna mai giudicare dalle apparenze.... Poi ovvio che dipende molto dalla sensibilitá individuale... Se ho preso in giro e deriso un bambino e questi difronte a me scoppia in lacrime e scappa io 2 domande me le farei e mi darei delle risposte immediate se avessi un briciolo di sensibilitá.... Parlo per eaperienza personale...credimi se dico che,seppur inconsciamente, i bambini sanno e possono divrntare tanto cattivi...e non solo i bambini ma anche gli adolescenti.
EliminaHai toccato un tasto dolente e di parole ne potremmo spendere a bizzeffe.... Ma penso a quel bambino vittima di bullismo,che come la protagonista del tuo racconto,prova vergogna nel confidarsi con un adulto,commette atti estremi perché più fragile di un'altro che é riuscito a reagire, ma non credo giusto che in entrambi i casi debbano sacrificare la loro età e da adulti ripensare a tutto ciò che hanno dovuto subire dicendo di aver trascorso una brutta infanzia....
Poi ovvio, per esperienza personale,che se mia mamma corre a scuola tutti i giorni affinché le maestre con il dirigente prendano dei provvedimenti anche semplici quali parlare con le famiglie dei bulli e ciò non viene fatto o semplicemente i genitori di questi bambini non fanno nulla affinché la cosa non si ripeta, io von chi devo prendermela se devo reagire??? Con me stessa ovvio.... Perché magari sono io il problema, ma con il senno di poi posso dire che nonostante la poca autostima personale,il problema non ero io ma i genitori di quei bambini che non hanno saputo spiegare cosa si deve o non deve fare!...la mia mamma me lo insegnò e io non mi sarei mai sognata di deridere qualcuno perché con i denti storti,perché grasso, perché con zaino di seconda mano, perché con il pantalone strappato o semplicemente perché bravo a scuola...... Ogni bambino é bambino e non deve mai e dico mai dover sacrificare la sua infanzia in lacrime e dispiaceri per colpa di qualche genitore che ha sempre vantato di avere un bravo figlio ma che non é mai stata in grado di insegnargli cosa vuol dire umiltá!
EliminaProfonda tristezza per te che hai avuto momenti infelici per colpa della mancanza di sensibilità di qualcuno.
RispondiEliminaPer fortuna, però, posso dire che ti sei rifatta alla grande!
Un forte abbraccio. ❤