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giovedì 5 aprile 2018

Ancora due morti sul lavoro. Lavorare per vivere o vivere per lavorare?



Sfogliando le notizie di cronaca della giornata, leggevo che a Crotone, durante il crollo di un muro di contenimento di una strada su cui stavano lavorando, due operai sono venuti a mancare, ed un terzo è rimasto ferito.
Eppure non stavano praticando uno sport estremo. Non stavano neppure sfidando la sorte.
Svolgevano semplicemente il loro lavoro, per portare a casa lo stipendio che, probabilmente, gli serviva per mantenere una famiglia.
Come ben sappiamo, nella società attuale, è diventato abbastanza difficile trovare un lavoro gratificante e che permetta, al tempo stesso, di ottemperare a tutte le spese di cui ciascuno di noi deve farsi carico, ogni giorno.
Pertanto, troppe volte, si sceglie di lavorare in condizioni che non rispettano appieno le norme di sicurezza del settore, o gli orari predisposti dai contratti generali di categoria, o, peggio, i salari.
Lo si fa non per masochismo, ma per necessità.
Ecco.
Una delle domande più ricorrenti negli ultimi tempi è "meglio lavorare per vivere o vivere per lavorare?".
Si fa presto a dirlo, e a fare discorsi moralistici in materia, ma quanti di noi possono davvero permettersi di lavorare il giusto?
Purtroppo, a parte coloro che hanno la fortuna di avere un "posto fisso", come quello tanto agognato da Checco Zalone nel film "Quo vado", gli altri si sentono persino grati di avere un lavoro, seppur li tenga fuori casa per quindici ore al giorno, o in condizioni pessime.
Insomma, teniamocela stretta la nostra professione, ma non abbandoniamo mai la speranza di poter cambiare il corso delle cose.
Voglio credere che un lavoro dignitoso nei tempi e nella paga, esista ancora.

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