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martedì 7 settembre 2021

Affamata di vita

La storia vera di Michela Conca

Era una mattina come un'altra e mi stavo preparando per prendere il pullman che mi portava a scuola. Frequentavo l'ultimo anno delle superiori.
Mia madre mi raggiunse in bagno e, senza troppi preamboli, mi disse che papà aveva un tumore alla gola.
Credo di non aver mai pianto così tanto in tutta la mia vita, ma decisi comunque di recarmi a scuola, sperando di distrarmi. Le lacrime, invece, scesero copiose anche lì.

Da qualche tempo, quell’autunno, papà aveva un forte mal di gola di cui non riusciva a liberarsi, nonostante le infinite cure. Così, facendo esami più approfonditi, saltò fuori la verità.
Si sarebbe operato poco dopo e sarebbe andato tutto bene, ma nella mia mente di adolescente mi vedevo già orfana, e sprofondare nel baratro fu inevitabile.
Cominciai, senza neppure rendermene conto, a mangiare meno, fino a farmi bastare un semplice cappuccino preso alla macchinetta della mia scuola, oppure una bottiglietta di tè freddo nel pomeriggio.
Ormai ero arrivata a pesare trentanove chili e, paradossalmente, mi piacevo un sacco.
Io che ero sempre stata un po’ in sovrappeso e forse per questo non venivo corteggiata dai miei coetanei, adesso ero guardata da tutti, ed ero sempre al centro dell’attenzione. Proprio come piaceva a me.

Eppure le forze mi abbandonavano giorno per giorno, e di conseguenza anche la capacità di concentrarmi.
Sebbene studiassi giorno e notte, con ritmi serratissimi, non riuscivo a portare a casa dei risultati apprezzabili.
Il mio incubo era soprattutto l’insegnante di italiano.
Lei sapeva della malattia di papà e del mostro dell’anoressia che mi divorava, ma sembrava non interessarsene.
Quindi continuava a darmi voti molto bassi.
Tutto questo non faceva che aumentare il mio disagio psicologico, ed indurmi a rifiutare il cibo ancora di più.
Quella sera, però, ero a cena con alcuni amici in un ristorante. Dissi loro che avevo già mangiato a casa con i miei, ma che gli avrei tenuto volentieri compagnia.
Mentre ridevo fragorosamente per la battuta di un amico, però, ebbi una crisi epilettica.
La fortuna volle che in sala ci fosse un medico che riuscì a liberarmi la lingua, altrimenti il soffocamento sarebbe stato inevitabile.
Tutti rimasero sbigottiti, io in primis.

In ospedale mi spiegarono che l’assenza di sonno e di cibo, nonché il forte stress a cui stavo sottoponendo il mio organismo, avrebbero potuto avere ripercussioni gravissime anche sul cervello.
Decisi, perciò, di riprendere in mano la mia vita.
Papà era stato dimesso da tempo e l’intervento era andato benissimo. Passavamo molto tempo insieme. Non gli confidai mai la mia avversione nei riguardi del cibo, e non so se lui se ne fosse reso conto. 
Fatto sta che mi spingeva a non abbandonare la passione di famiglia verso la panificazione e la pasticceria.
Sin da piccola, infatti, amavo aiutarlo nel suo laboratorio, e preparare dolci mi rendeva felice.
Paradossalmente, anche nel momento in cui odiavo visceralmente il cibo, non potevo fare a meno di creare crostate, muffin e ogni genere di leccornia da regalare ad amici e parenti.
Pur essendo molto golosa, non ho mai assaggiato un solo boccone di tutto ciò che prendeva vita dalle mie mani.
Però, non avrei mai smesso di fare quello che papà mi aveva insegnato, a maggior ragione adesso che, a causa dell'assoluto riposo che i medici gli avevano raccomandato, non poteva coltivare questo grande amore.

All’indomani di quella convulsione che tanto mi aveva fatta preoccupare, decisi di rivolgermi, per la prima volta, alla mia dottoressa.
Lei fu categorica e mi spiegò che avevo soltanto due possibilità: farmi seguire da una psicologa che avrebbe potuto aiutarmi ad uscire dal tunnel, oppure affidarmi ad una struttura dedicata.
Non volevo farmi ricoverare, però, dunque scelsi la strada della terapia psicologica.
La dottoressa che mi prese in cura era giovane e dolcissima.
Ricordo bene il suono della sua voce e i suoi occhi espressivi, sebbene abbia completamente rimosso il suo nome, assieme a molti altri dettagli.
Riusciva a mettermi completamente a mio agio, tanto che seduta dopo seduta le raccontai tutta la mia vita, i miei dubbi, le insicurezze che avevo sin da piccolissima.
Essere la minore di cinque figli mi aveva sempre fatta sentire giudicata e paragonata agli altri.
Era come se non fossi mai all’altezza delle situazioni, o degna di ricevere amore.
Quindi, la dottoressa decise di cominciare a lavorare su questo, prima ancora che sul rifiuto del cibo.

Nonostante la terapia mi rasserenasse e mi sentissi l’animo sempre più leggero, però, continuavo a non mangiare e dormire, tanto che a giugno scoprii di non essere stata ammessa all’esame di maturità.
Fu una notizia devastante, e implorai i miei genitori di lasciarmi partire lo stesso in vacanza con la mia amica, perché avevo bisogno di resettarmi, per ricominciare tutto da zero.
Scegliemmo di recarci a Caorle, una cittadina veneta che avevo sempre visitato in famiglia da bambina.
Prenotammo con la formula pensione completa e, sin da subito, la vista del cibo non mi disturbava affatto, anzi. Ricominciai a mangiare gradualmente, e non avvertivo crampi allo stomaco, né nausee.
Man mano che i giorni passavano, mi sentivo pervasa da una nuova voglia di vivere, e dalla necessità di non perdermi un unico raggio di sole.

Tra luglio e agosto, decisi di rimettermi a studiare per poter frequentare il quinto anno e, stavolta, superarlo a pieni voti.
Scelsi di non cambiare scuola, pur sapendo che avrei rincontrato la docente di italiano che, più di tutti, aveva pregiudicato il mio percorso.
Il mio obiettivo era farla ricredere, e dimostrarle che quelle come me non si arrendono mai.
Difatti, sebbene avessi una buona media in tutte le materie, nella sua avevo il voto più alto, e questo mi rendeva orgogliosa ed appagata.
Ad aprile, conobbi Raimondo, che qualche anno dopo diventò mio marito.
A colpirmi di lui fu l’immensa dolcezza e il fatto che volesse prendersi cura di me, senza mai fare domande ed essere invadente.
All’epoca pesavo quarantadue chili, quindi i postumi dell’anoressia erano ancora evidenti sul mio corpo.
Lui mi portava ogni giorno a cena fuori, oppure ci vedevamo per un aperitivo. Insomma, controllava che mangiassi senza svelarmi apertamente le sue intenzioni.
L’esame di stato fu una passeggiata e, qualche settimana dopo, la mia psicologa mi dichiarò ufficialmente guarita.

Oggi ho un figlio meraviglioso, Francesco, e sto imparando a volermi bene.
Ogni volta che mi guarda come se fossi la creatura più bella che esista in terra, penso che forse l’amore è l’unica cosa che mi abbia davvero salvato la vita.
Quello di mio marito, che non ha mai smesso di coccolarmi, facendomi sentire al sicuro.
Di papà che ha affrontato il tumore come un leone, vincendo la sua battaglia, e dimostrandomi che volere è potere.
Di mamma, dei miei fratelli e di chi non mi ha mai abbandonata.
Se oggi sono affamata di vita e d’amore è merito loro, e di tutto quello che verrà.
Perché anche le tempeste peggiori portano il sole e l’arcobaleno.

12 commenti:

  1. Ci credo fermamente che l'amore possa salvare una vita.
    Auguri a Michela e complimenti per come hai raccontato la sua storia.

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    1. Grazie.
      Ma i complimenti vanno soprattutto a lei, per la tenacia nel riprendere in mano la sua vita.

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  2. Preferisco non commentare questa storia perché...beh, il perché lo so io e non mi va di dirlo.
    Ma voglio mandare un abbraccio virtuale a questa ragazza.

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    1. Penso di immaginare la tua motivazione.
      Michela merita l'abbraccio tuo e di tutti, e spero che la sua storia possa servire a convincere ragazze e ragazzi come lei a farsi aiutare.

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  3. Mi dispiace molto per la tua amica.
    Per fortuna Michela ha capito che farsi aiutare dagli esperti, in questi casi, è d'obbligo, e si è rialzata alla grande.
    Sono d'accordo con te, a scuola si dovrebbe parlare di disturbi alimentari, e spingere coloro che ne hanno bisogno a consultare gratuitamente uno psicologo.

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  4. Fame di vita ..
    Non sentirsi adeguati..
    Ho passato il periodo riabilitazione a villa garda ..dove c'erano anoressiche e bulimiche ..maschi femmina ..allucinante ..veramente ..il mio pensiero era ..io tra qualche tempo starò meglio ..ma voi???
    Mi facevano tanta tenerezza e...incazzare anche ..sentivo tanto dolore mma anche tanta rabbia ..a volte il non farsi aiutare ..come mi disse una ragazza ..così puniro i miei genitori quando me ne andrò..risposta ..no punirai te per non esser riuscita a godere di questa cosa meravigliosa che è la VITA.. di c era dolore..ma tanto rancore verso la famiglia sopratutto..ma invece del rancore puoi scegliere ed andartene da loro .
    Questo è il mio pensiero..sicuramente sbagliato ..trovo che la vita si meravigliosa ..sarà perche negli anni ha tentato spesso di sfuggirmi..ma l'ho ripresa ..dunque faccio molta fatica a capire chi la distrugge..
    🤔
    Ciao

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    1. In realtà credo che arrendendosi alla malattia il danno peggiore lo si fa a se stessi, non agli altri.
      Anche se nei momenti di sconforto si può pensare che morire sia l'unica soluzione per porre fine al proprio dolore. 😔

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  5. Una storia bella, che insegna tanto.

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    1. Lo scopo di Michela era regalare speranza e coraggio a chi attraversa lo stesso calvario.
      Spero che possa essere così.

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  6. Nei momenti di difficoltà ncontrare o essere circondati dalle persone giuste affettivamente e nel suo caso anche concretamente, credo sia essenziale, fa la differenza tra il rialzarsi e lo sprofondare per sempre. Per fortuna lei si è rialzata.

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    1. Purtroppo l'affetto di chi ci circonda, spesso, non basta. Rivolgersi agli esperti è l'unica vera soluzione, secondo me.

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    2. Concordo credo che il combinato disposto di affetto e aiuti specialistici sia la sola soluzione in questi casi.

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