La storia vera di Maria Saracino e Raffaella
Io e Roberto ci sposammo quando avevo 26 anni e lui 35. Eravamo già abbastanza adulti per la nostra epoca, quindi decidemmo di provare subito ad avere un bambino.
Essere madre era il mio più grande desiderio, ma non potevo sapere che il mio corpo forse non era pronto ad accudire un feto.
La prima volta che le lineette del test furono positive, mi sembrò di toccare il cielo con un dito. La gravidanza si rivelò presto molto complicata tanto che, al sesto mese, entrai in travaglio e partorii una bambina viva che, però, morì subito dopo.
Fui travolta da una forte depressione che superai solo quando scoprii di essere di nuovo incinta.
Stavolta, però, l’aborto spontaneo sopraggiunse al terzo mese.
Insomma, il dolore era così forte che ero convinta di non poter più realizzare il mio sogno.
Per fortuna, però, a settembre decisi di riprovarci, complice la nascita della mia nipotina che portò un’immensa gioia in famiglia.
Il test fu subito positivo e nonostante le diverse minacce d’aborto e il riposo assoluto al quale mi costrinsero, il feto cresceva rispettando i parametri.
Non avevamo voluto conoscerne il sesso perché diventare genitori era già il nostro miracolo, e sapere di aspettare un maschietto o una femminuccia non avrebbe fatto alcuna differenza.
Dal settimo mese di gestazione, però, cominciarono i problemi.
Dopo aver sospeso l’assunzione degli ormoni, come consigliatomi dal ginecologo, il feto smise di crescere, sino al termine della gravidanza.
La mattina del 29 giugno mi sottoposero ad un cesareo d’urgenza, per salvare il salvabile.
Raffaella pesava solo poco più di due chili, ma dopo un periodo in incubatrice fu pronta ad avviarsi nel cammino della vita.
È difficile spiegare a parole l’emozione che io e mio marito provavamo nel stringere finalmente tra le braccia il frutto del nostro amore. Quegli occhioni scuri e i suoi tantissimi capelli ricci azzerarono in un istante tutto il dolore che avevamo provato sino ad allora.
Eppure la vera tragedia doveva ancora arrivare.
Crescendo, Raffaella non manifestava il minimo desiderio di esprimersi con sillabe o parole, né di gattonare o alzarsi.
Nonostante avesse ormai compiuto un anno continuava a comportarsi come un bebè. Manifestai molte volte al suo pediatra le mie perplessità, ma mi fu detto di non essere troppo apprensiva, poiché ogni bambino ha i suoi tempi ed io dovevo semplicemente attendere e rispettare quelli di mia figlia.
Difatti, intorno ai diciotto mesi cominciò a camminare, ma il linguaggio era ancora del tutto assente. Secondo i medici si sarebbe sbloccata andando all’asilo, grazie al contatto con gli altri bambini.
La svolta arrivò, infatti, quando la iscrissi alla scuola materna, ma non accadde quello che tutti si aspettavano. La sua maestra mi segnalò che Raffa era diversa rispetto ai suoi coetanei e mi consigliò di sottoporla ad una visita specialistica.
La diagnosi mi gettò nello sconforto più assoluto. La mia bambina era affetta da un ritardo mentale che, dopo un mese di ricovero ed esami, scoprimmo essere per fortuna lieve ma irrecuperabile.
Da lì in poi il buio.
Cosa poteva fare una giovane madre che scopriva di avere un figlio disabile agli inizi degli anni Novanta? A chi doveva rivolgersi? Su chi poteva fare affidamento?
Su nessuno, se non su se stessa.
All’epoca questo genere di problematiche era quasi un tabù.
Persino il direttore della scuola materna che frequentava Raffaella mi sconsigliò di richiedere l’assegnazione di una maestra di sostegno.
Le sue parole sono ancora oggi marchiate a fuoco nella mia mente.
“Signora, vuole bollare sua figlia come diversa sin dall’asilo? Lasci che sembri uguale a tutti gli altri!".
Certo, perché l’apparenza, come al solito, valeva più della sostanza, ma io avevo già perso troppo tempo dietro alle accuse di essere una madre paranoica, e non potevo restare a guardare mentre mia figlia regrediva ogni giorno di più.
Il confronto con i suoi coetanei era, infatti, impietoso.
Per fortuna, almeno, in classe con lei c’era Gianni, il mio secondogenito, che avevamo concepito pochi mesi dopo la sua nascita, perché crescessero quasi come gemelli e Raffaella aveva un punto di riferimento solido.
Alle elementari decisi, però, di iscriverli in due sezioni differenti, poiché non mi sembrava giusto sobbarcarlo di una responsabilità così grande. In fondo era solo un bambino e già avere una sorella disabile era motivo di sofferenza, ma chiedergli di occuparsene e di proteggerla dalle ingiustizie della vita sarebbe stato eccessivo per le sue giovani spalle.
Mia figlia conseguì la licenza elementare senza saper né leggere e né scrivere. Il suo mutismo la portò, anche alle medie, ad essere sempre emarginata e trattata come diversa.
Per fortuna, però, in primo superiore arrivò quella luce che attendevo da tempo.
A differenza di quelle avute in precedenza, la sua nuova insegnante di sostegno prese così a cuore la sua storia che, partendo da zero, le insegnò tutto quello che una ragazza della sua età avrebbe dovuto sapere.
Angela era alla sua prima esperienza lavorativa. Con una laurea all’accademia d’arte non era formata per il sostegno, ma si documentò giorno e notte per aiutare Raffaella nel migliore dei modi, tanto che riuscì a farla diplomare nei tempi col punteggio di cento.
Diventò la sua migliore amica e tutt’oggi trascorrono diverso tempo insieme, e Raffaella la considera come una sorella maggiore.
Dopo il diploma fui costretta ad inventarmi qualcosa che la tenesse impegnata dato che, nel suo stato, purtroppo non avrebbe potuto lavorare.
L’idea, però, di tenerla chiusa in casa a consumarsi invano mi logorava.
Volevo che mia figlia vivesse al meglio delle sue possibilità, e delle nostre.
Facendo leva, quindi, sul suo innato senso del ritmo e sull’entusiasmo con cui amava danzare in salotto, mentre alla radio passavano le sue canzoni preferite, decisi di iscriverla ad una scuola di ballo, dove con il supporto dell’istruttrice Mina realizzammo un apposito gruppo per ragazzi disabili.
Ben presto venne fuori la sua abilità nei balli di coppia, tanto che dopo tre anni pensammo di iscrivere lei ed il suo partner ai campionati paraolimpici nazionali che si svolgono, ogni anno, a Rimini.
Alla loro prima partecipazione, su cinque gare portarono a casa due argenti, due bronzi ed un quarto posto, diventando vicecampioni d’Italia. L’anno successivo le medaglie diventarono d’oro e d’argento, e la loro gioia fu così incontenibile che decidemmo che quello sarebbe diventato un appuntamento fisso per noi.
Quando Raffaella balla la sua anima vola leggiadra a tempo di musica ed è come se la sua disabilità svanisse. Durante il suo danzare, non ha nemmeno bisogno che sia io a tenerla per mano, come ho sempre fatto sin da quando è nata, poiché è assolutamente padrona della sua vita.
Ad onor del vero cerca sempre meno spesso la mia mano, perché ormai ha trent’anni, vuole sentirsi libera ed autonoma, sebbene non sia semplice.
Per fortuna mi avvalgo dell’aiuto di Carmen, la sua tutor, che la accompagna in tutte le esperienze che ha bisogno di fare lontano da me, e soprattutto le dona un’amicizia sincera e per Raffaella indispensabile.
È stata proprio lei a sceglierla, affidandole la sua bambola preferita sin dal loro primo incontro e sentendosi più ricca con un’amica in più.
Non è mai riuscita, infatti, ad intessere amicizie con i suoi coetanei normodotati, perché capisco che non sia facile rapportarsi ad una bambina di nove anni imprigionata nel corpo di una donna.
Una bambina che, però, mi chiede quando potrà sposarsi ed avere dei figli, uscire a fare shopping con le amiche, viaggiare con il fidanzato.
Io mento e prendo tempo, perché non ho il coraggio di dirle che tutto questo non potrà accadere mai. Le racconto che le mogli fanno un sacco di faccende domestiche, proprio quelle che lei detesta tanto fare e che i bambini toccano tutto quello che trovano, compresi i suoi oggetti di cui è così gelosa.
Allora mi risponde che in fondo le piace essere la mia ombra, perché siamo una bella squadra e nessuna delle due potrà mai sentirsi sola.
Mano nella mano, quindi, continueremo ad affrontare tutto quello che verrà. Senza paura.
Racconto pubblicato sul numero 3
della rivista “Confidenze”
del 7 gennaio 2020
ecco. l'amore che sostiene. l'amore che sostiene fa miracoli e traccia strade impensabili, richiama a sé realtà auspicabili, crea infiniti futuri.
RispondiEliminaL'Amore tra madre e figlio, l'unico imperituro e capace di vincere qualsiasi battaglia. ❤
EliminaQuanto amore ... e quanta forza ha questa madre straordinaria.
RispondiEliminaMa ... forse tutte le mamme lo sono un po'...!!
Mi sono emozionata e commossa.
Ciao Claudia : )
Tutte le madri dovrebbero essere così, ma alcune purtroppo lo sono solo biologicamente.
EliminaMaria è straordinaria.
Un abbraccio e grazie.
Situazioni difficili, drammi e gioie che può comprendere solo chi le vive. Da genitore, poi, immagino quanto sia amplificato.
RispondiEliminaCi vuole forza, e questa madre ce l'ha.
Moz-
Ne ha da vendere.
EliminaEd io ho la fortuna di esserle amica.
L'amore può tutto.
RispondiEliminaSereno giorno.
Tutto e molto di più.
EliminaSpecialmente quello di una madre.
Cara Claudia, tutto il tuo racconto, mi ha confermato ciò che ho sempre pensato!!!
RispondiEliminaCerto che di mamme come te che fa quello che tu hai affrontato non sono certo tutte!!!
Ciao e buona giornata con un forte abbraccio e un sorriso:-)
Tomaso
Mamme come Maria.
EliminaIo spero di avere la vita più facile, almeno come madre, visto che come donna e figlia ho già sofferto moltissimo.
Un bacio.
una storia davvero straordinaria per l’amore e tenacia.
RispondiEliminaPutroppo assistiamo ancora oggi a tagli da parte delle istituzioni per quanto riguarda la riabilitazione dei disabili fondamentale per questi ragazzie e le loro famiglie
Nella classe di mio figlio ci sono due bambini disabili ed uno è riuscito ad avere la docente di sostegno solo quest'anno dopo tre anni di inutili richieste.
EliminaÈ triste ma vero...
Una Mamma da ammirare e una figlia con tanta forza interiore .
RispondiEliminaGiunga a loro il mio più caloroso e sincero abbraccio .
La mia secondogenita è nata normalmente e i primi 7 mesi tutto bene .
Poi incominciò a vomitare le pappine e avere problemi intestinali .
Non aumentava di peso . Il Pediatra mi consigliò di portarla in ospedale.
Così feci . Ci rimase 4 lunghi mesi . La andavo a trovare tutti i giorni.
Per strada guardavo gli altri bambini nelle loro carrozzine e pensavo alla
mia così piccina nel suo lettino di ospedale , piangevo spesso .
Avevo paura che ne soffrisse anche il suo cervello e rimanesse ritardata.
Dopo 4 mesi fu dimessa . Apparentemente stava bene ma , respirava a fatica
e mangiava poco . Un giorno decisi di portarla all'Ospedale Gaslini di
Genova . Le vie respiratorie erano bloccate :Sinusite , adenoidite ,
tonsillite e bronchite . I medici non volevano operarla , troppo piccola,
troppo sotto peso . Dovevo riportarla quando fosse cresciuta ma , in quelle
condizioni , come poteva crescere ? Insistetti che la operassero sotto la
mia responsabilità e firmai il consenso . La operarono una mattina che non
aveva bronchite nè febbre . Dopo mi diedero un biberon di latte freddo e
mai potrò dimenticare l'avidità con cui lo bevve . Le vie respiratorie erano
finalmente libere . La portai a casa dall'ospedale che aveva 15 mesi e
pesava 7,700 Kg. Non si reggeva in piedi . In 3 mesi recuperò peso e
incominciò a camminare .Una bimba adorabile , sempre con il sorriso .
Oggi è una Mamma felice di una bimba adorabile come lei .
Caspita.
EliminaHai fatto bene a seguire il tuo istinto, allora.
Le hai salvato la vita. Una madre certe cose le sa, anche se la maggior parte delle volte si sente dire che é stressata o troppo fissata.
Pensare che proprio in questi giorni parlano di una mamma che ha ucciso la figlia di sei anni e poi appiccato il fuoco all'appartamento per mascherare il tutto mi viene da vomitare, scusa. Sei da ammirare e lo avranno scritto e detto in tanti e mi unisco a loro. Che aggiungere che le cose facili costano poco e si dimenticano, ma quelle sudate sono una forza immensa che si rigenera ogni istante della vita. Un grande esempio per i figli soprattutto e per quanti ti sono vicino. Brava
RispondiEliminaMaria sarà felice di leggere il tuo commento.
EliminaL'esempio che hai citato rispecchia appieno quello che tentavo di spiegare a Marinetta.
Una grande e meravigliosa mamma, che ha saputo fare il possibile e l'impossibile per sua figlia, donandole la felicità che merita e dimostrando che l'amore di una mamma può raggiungere anche quei traguardi che potrebbero sembrare impossibili. Grande ammirazione per lei e per l'esempio che dona a tutte noi!
RispondiEliminaÈ verissimo.
EliminaAnche Raffaella ti piacerebbe un sacco. Le daresti lezioni di canto che arricchirebbero entrambe.. ❤
Il disabile è una persona sana in una società malata. Il direttore della scuola materna è stato ingiusto oltre che estremamente ignorante.
RispondiEliminaEppure è una persona che io conosco bene e che avevo sempre stimato. Giuro che mai mi sarei aspettata da lui un atteggiamento del genere.
EliminaFosse successo oggi, con le leggi sull'inclusione scolastica, ci sarebbero stati gli estremi per fargli perdere il posto. La scuola deve accogliere ogni allievo e guidare i genitori al definire non l'handicap ma le risorse: seguita da opportune figure professionali, la bimba avrebbe manifestato prima la passione per il ballo e sarebbe stato un canale per consentirle di comunicare.
EliminaFosse accaduto oggi sarebbe stato più facile denunciare, e Maria non si sarebbe sentita sola.
EliminaOrmai basta un post su Facebook e la macchina della giustizia già si attiva..
Ci vuole una forza enorme e non è da tutti averla.
RispondiEliminaUn grande in bocca al lupo a queste due donne con un rapporto bellissimo e speciale :)
Un rapporto che salverà la vita ad entrambe... <3
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