domenica 4 settembre 2022

Come si fa ad addomesticare il dolore?

 
Il 4 settembre nascevano Luigi Cadorna (1850), Amadeus (1962), Carmen Consoli (1974) e Beyoncé (1981).
Inoltre, nel 1998, Page e Brin fondarono quello che ormai è un "parente stretto" per ciascuno di noi, Google.
Ho deciso, quindi, di dedicare la citazione della domenica alla cantautrice siciliana, che oggi spegne 48 candeline.

Per l'occasione, ho scelto un passo della canzone "Guarda l'alba", pubblicata nell'album "Per niente stanca" del 2010.
“Persino il dolore più atroce
si addomestica.”.

Siete d'accordo con Carmen?
Ma come si fa, esattamente, ad addomesticare un dolore, a conviverci?

Qualche anno fa parlavamo del modo più giusto per affrontare un lutto, e di quanto non esista assolutamente un metodo oggettivo.
Ogni caso è a sé, infatti. Lo stesso dicasi per il dolore di qualsiasi altra natura.
Però, come Carmen, ritengo che qualsiasi tipo di sofferenza possa essere affrontata e, in un certo senso, superata. Basta solo volerlo, insomma.
Anche se non è assolutamente semplice reagire dinanzi a determinati avvicendamenti.

Allora, buona domenica a chiunque di voi stia combattendo con un dolore, con la speranza che riusciate a trovare la chiave giusta per affrontarlo.
Un abbraccio.

28 commenti:

  1. Credo che dipenda dal dolore. Non conosco la canzone per poter contestualizzare la frase e dire se possa essere vero.

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  2. Non è così facile farlo ... Ci si può provare ma non sempre si riesce

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    1. Però provarci è il minimo.
      Altrimenti non si vive più. E soprav-vivere non è la stessa cosa.

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  3. Addomesticare è un termine brutto, fa pensare a un qualcosa di selvaggio che, con pazienza, si rende docile... ai propri voleri. Il dolore non si può addomesticare, col dolore ci si può convivere, se vero dolore è. E non penso al dolore fisico, quello si placa con analgesici; anche se non sempre si riesce nell'intento. È il dolore dell'anima, quello che nei pensieri ricorrenti riapre ferite mai del tutto rimarginate. Come la perdita di una persona a lungo amata: convivendo col dolore, a ogni sogno, a ogni pensiero, la ami ancora... e lei non muore mai.

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    1. Hai scritto una descrizione perfetta.
      È proprio quello che mi accade da undici anni a questa parte, con la perdita di mio padre perennemente nel cuore.
      In tutto quello che faccio c'è un pizzico di lui.
      Le gioie immense lo sono un po' meno, perché non condivise con lui. I dolori, invece, mi ricongiungono sempre più a lui.
      Col dolore ci si convive, hai ragione. A fatica, ma lo si deve fare. Si torna a sorridere, all'inizio molto forzatamente, ma poi sempre più con autenticità. Lo si fa anche perché chi non c'è più desidererebbe solo vederti sereno.

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  4. in realtà non credo che il dolore si addomestichi; semplicemente, col tempo, chi riesce impara a conviverci. Gli antichi greci dicevano che quando la vita ti sorride, espandila più che puoi; quando sopraggiunge il dolore, "substine ed abstine", cioè sostienilo (perché fa parte della vita e non ci puoi fare niente) e astieniti dal metterlo in scena. Poi, vabbe', siccome siamo alla fine tutti diversi, ognuno alla fine lo gestisce come crede.

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    1. Cosa vuol dire, esattamente, "astieniti dal metterlo in scena"?
      Dovremmo soffrire in silenzio senza lasciar trapelare nulla?
      Se così fosse, non sono assolutamente d'accordo, perché posto come dici che siamo tutti diversi, credo che l'unico modo per "superare" davvero un dolore sia riconoscerlo, accettarlo e conviverci, vivendolo al cento per cento. Senza fingere che non esista, insomma.

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    2. È un riferimento di tipo culturale-religioso per sottolineare la differenza che passa tra la cultura greca e la nostra cristiana. Per il cristianesimo il dolore ha un senso ed è giusto che venga "esibito" (tutti si ricordano quando Wojtyla sofferente e ormai alla fine appariva in televisione); per i greci, invece, il dolore non aveva alcun senso e, al pari di tutti gli altri sentimenti, era una delle tante cose che potevano capitare nella vita.
      Evitare di metterlo in scena va inteso in questo senso. Poi, certo, concretamente anche per i greci chi soffre è alla fine libero di gestire tale sofferenza come meglio crede: raccontandolo, parlandone ad altri, denunciandolo pubblicamente ecc.

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    3. Ma pensa! Non sapevo nulla in merito.
      Però che strano credere che il dolore fosse pari a qualsiasi altra cosa. Ma non avrà mica qualcosa a che fare con l'atarassia?
      Beati loro se riuscivano davvero a farsi scivolare addosso qualsiasi emozione.

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    4. Mah, non so, alla fine potrebbe anche essere intesa come una forma di atarassia, in effetti.

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  5. Tu parli di dolore fisico.
    Io, invece, parlavo di dolore dell'anima.

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  6. Penso che sia una cosa totalmente soggettiva, c'è chi lo "addomestica" e chi ne viene sopraffatto. Penso anche che invecchiando certi dolori si imparino a sopportare meglio, o meglio, si impara a non permettere loro di rovinarci la vita.

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    1. Di sicuro la maturità tempra il carattere e molte cose che da giovani ci avrebbero turbati, facendoci soffrire, cominciano ad apparirci frivole.

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    2. Credo sia concetto da invertire: da giovani ci sono 'distrazioni' che possono aiutare a superare certi dolori; il tempo, il futuro stesso finisce per essere palliativo. È da anziani, quando ci si sofferma di più a guardare il proprio passato, che il dolore emerge prepotente; proprio quando il tempo e il futuro diventano talmente prossimi a scadere, che non li si vede più come tali, bensì come un indice del proprio libro che sta per chiudersi.

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  7. Io penso che il dolore per la perdita di un figlio non si possa proprio
    addomesticare . Ho conosciuto genitori che hanno perso il figlio ,
    Alcuni anche in maniera drammatica e il dolore è rimasto e rimane
    perenne .
    Buona Domenica . Laura ***

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    1. Non voglio nemmeno pensare a questo terribile dolore che nemmeno il genitore peggiore al mondo dovrebbe mai provare. 😔
      Buona domenica a te.

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  8. Già basta volerlo, in questi casi e in altri.

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  9. Oggi hai scelto una splendida citazione.
    Con un forte dolore si può e soprattutto si deve convivere, se si vuole continuare a vivere. Perché l'alternativa è la peggiore possibile, quella di vivere come larve e lasciarsi morire.
    Allora si prende il fardello sulla schiena e lo si porta, alcuni giorni un po' meglio e altri arrancando. Sicuramente è una convivenza possibile ma non facile, poi ci sono anche diversi gradi di dolore e anche diversi gradi di forza. C'è chi per un forte dolore impazzisce e come si fa a dirgli "non hai avuto volontà?". Troppo facile, così. In realtà ognuno ha un limite oltre il quale non può andare e questo limite è diverso per tutti.
    Si fa quel che si può, insomma.
    Auguri Carmen :)

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    1. Grazie, tesoro.
      Il compleanno di mia madre è stato venerdì, ma per ragioni di lavoro abbiamo potuto "festeggiare" solo oggi.
      Eravamo io, lei, Manu e Lorenzo.
      È stato un pranzo fantastico. 😍

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  10. Forse se avessero avuto altri figli sarebbe stato più facile reagire, per proteggerli.
    Ma il destino certe volte sa essere ancora più crudele. 😔

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  11. Più che addomesticare..direi conviverci, perché penso sia una buona maniera per affrontarlo.
    Ah non mi piace la parola addomesticare sa di costrizione..
    Il dolore invece ,sopratutto se ti arriva all'improvviso..lo devi accettare ..la fase più difficile..accettato poi ,dopo un bel po, impari a conviverci..con fasi più toste altre più accettabili ..il bello è che spesso lo lasci andare dolcemente ..solo che poi all'improvviso, qualcosa te lo riporta violentemente..e li pian piano lo allontani..
    In 2 parole : ci convivi.

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    1. Conviverci è l'unica scelta che hai.
      Magari esistessero alternative, tipo la cancellazione del dolore.

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  12. Personalmente non penso che ci sia un modo per addomesticare il dolore, credo che alla fine semplicemente si impari a conviverci. Almeno per me è sempre stato così. Si accetta, ad un certo punto, e si accetta anche il fatto che bisognerà conviverci probabilmente per tutta la vita. ❤️

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