giovedì 9 agosto 2018

Amore malato

Avevo solo 15 anni quando rimasi incinta di Sveva. 
Io e Gennaro eravamo fidanzati da otto mesi, e tra noi sembrava essere tutto perfetto. Forse, però, eravamo semplicemente due bambini, che non avrebbero dovuto metterne al mondo un terzo. 
Ricordo ancora con profondo dolore il giorno in cui annunciai ai miei genitori la notizia della gravidanza.
Mio padre, austero come sempre, mi rispose che avrebbe pensato lui a tutto, prenotando, nella migliore clinica del paese, un intervento per farmi abortire. 
Mia madre, non aggiunse una sola parola, limitandosi ad annuire. 
Per fortuna, i genitori di Gennaro, fortemente cattolici, non la pensavano così, e mi invitarono a trasferirmi a casa a loro, per portare a termine la gravidanza. 
Così feci. 
All’inizio, il distacco dalla mia famiglia mi pesava moltissimo, ma Arturo e Stella erano sempre molto dolci nei miei riguardi, e mi aiutavano a superare i momenti di sconforto. 
Più passavano i mesi, e più l’idea di diventare madre mi emozionava. 
Nonostante il mio fidanzato avesse soltanto 17 anni, fu molto presente e responsabile, ed insieme condividevamo ogni singolo battito di Sveva, ed ogni sensazione. 
Lo amavo così tanto che non potevo immaginare tutto quello che sarebbe accaduto da lì a poco. 
La nostra piccola meraviglia nacque in una calda mattina di luglio, con taglio cesareo. 
I miei genitori, ricevuta la lieta notizia, si precipitarono in ospedale. 
Vederli abbracciare e coccolare Sveva mi riempì di una gioia che credevo, ormai, sopita per sempre. 
A 16 anni avevo esattamente tutto quello che mai avrei potuto desiderare. O almeno così credevo. 
Dopo tre giorni, tornai a casa con i miei suoceri, felici più che mai di essere diventati nonni. 
Gennaro, nel frattempo, aveva trovato lavoro presso l’officina del paese, e riusciva a guadagnare una cifra tale da mantenere me e la bimba. 
I suoi genitori, però, lo spronavano a trovare di meglio, poiché la loro casa era fin troppo piccola, e non avrebbero potuto ospitarci in eterno. 
Eppure, passarono quattro anni, e quel piccolo appartamento popolare, continuava ad accoglierci tutti e cinque. 
Da quando Sveva aveva iniziato a frequentare la scuola materna, avevo trovato occupazione come babysitter, per contribuire alle spese. 
Più volte i miei genitori, che vivevano in una villa di campagna a due piani, ci avevano chiesto di trasferirci lì, ma a vuoto. 
Gennaro era irremovibile. I suoi ci avevano accolti nel momento del bisogno, e adesso che Arturo aveva perso il lavoro, in seguito al fallimento della sua azienda, non potevamo abbandonarli. 
Il sentimento tra di noi, però, si faceva sempre più freddo. 
Non so se la colpa fosse imputabile all’assenza di intimità, o alle troppe preoccupazioni di natura economica, ma, ormai, ci scambiavamo appena qualche parola al giorno. 
Proprio in merito a questo, la mia migliore amica mi consigliò di prenderci qualche momento di coppia, per ritrovare la sintonia perduta. 
Così, mi regalò due biglietti per un film romantico in programmazione, quella sera, al cinema. 
Subito dopo pranzo, chiesi a Gennaro di fermarsi un istante con me in cucina, prima di andare a riposarsi, perché dovevo chiedergli una cortesia. 
A quell’ora, Sveva era all’asilo e i miei suoceri dormivano. Quale miglior occasione, quindi, per chiacchierare un attimo. Gli spiegai che, secondo Maria, ci avrebbe fatto bene passare del tempo insieme, da soli, e che, la sera stessa, saremmo potuti andare al cinema senza spendere nulla. 
Immediatamente lo vidi agitarsi. 
Cosa diavolo le hai raccontato???!!!”, urlò. 
Non l’aveva mai fatto prima, e il suo atteggiamento mi lasciò impietrita. 
Nulla – risposi – le ho solo detto che non siamo più complici come un tempo, e che abbiamo troppe preoccupazioni…”. 
Feci appena in tempo a finire la frase che mi sentii colpire, improvvisamente, da uno schiaffo. 
Aggiunse che mai più avrei dovuto osare lamentarmi con nessuno, perché se eravamo in quella situazione era solo colpa mia che non avevo voluto abortire, e che lo costringevo a lavorare dodici ore al giorno, per mantenere me e mia figlia. 
Improvvisamente Sveva era diventata “mia figlia”, come se per lui fosse solo un peso. Eppure, non ne aveva mai parlato in quei termini. 
Pensai che gli fosse accaduto qualcosa di brutto al lavoro, e decisi di non aggiungere altro, anche se quello schiaffo faceva ancora molto male. Al cuore. 
Qualche giorno dopo, avendo appena ricevuto lo stipendio, decisi di andare al mercato del paese, per comprare una borsa per mia suocera. Il giorno dopo, infatti, ricorreva il suo compleanno, e ci avrebbe portati in pizzeria per festeggiare. 
Accanto alla bancarella degli accessori, ne trovai una di cosmetici. Era un sacco di tempo che non mi prendevo più cura di me stessa, sebbene avessi solo vent’anni. 
Scelsi, quindi, un rossetto e un mascara, con l’intenzione di truccarmi un po’, in occasione della festa. 
Dove pensi di andare truccata in quel modo?! Vai subito a lavarti la faccia!”, tuonò appena mi vide. 
Non avevo intenzione di assecondarlo, ancora una volta, quindi gli risposi che sarei uscita così, oppure avrei preferito restarmene a casa. 
I suoi genitori ci osservavano silenti, e non osarono contraddirlo. 
Non mossero un solo muscolo neppure quando lui, adirato per la mia fermezza, mi strattonò, facendomi cadere a terra. 
Sveva scoppiò in un pianto disperato. Non aveva mai assistito ad una delle nostre discussioni, né poteva restare imperturbata dinanzi a quel gesto violento. 
La abbracciai e corremmo a chiuderci in camera. 
Le spiegai che papà era solo un po’ nervoso, e che non voleva farmi del male. Sicuramente spingermi era stato solo uno sbaglio. 
Passarono sei mesi, e la situazione si inasprì sempre di più. 
Gli spintoni diventarono dieci, venti, accompagnati da schiaffi, pugni, calci. 
Ogni occasione era buona per picchiarmi, sebbene avessi imparato a non reagire più, per non incrementare la sua rabbia. 
Persino i miei suoceri che, fino ad allora, mi erano stati tanto vicini, diventarono ostili nei miei riguardi. 
Ogni volta che provavo a sfogarmi con Stella, mi rispondeva che me l’ero cercata, perché la mia gonna era stata troppo corta, o il mio sorriso al cameriere troppo smagliante. 
Gennaro era passato dal non accorgersi quasi della mia presenza in casa, all’essere del tutto ossessionato da me. Mi aveva costretta a lasciare il lavoro poiché, secondo lui, il dirimpettaio dei miei titolari mi osservava dal balcone, ed era segretamente innamorato di me. 
Non mi permetteva neppure di accompagnare nostra figlia a scuola, chiedendo a sua madre di farlo. 
Avrei potuto incontrare altri uomini, e tradirlo. 
I miei genitori, intanto, cominciarono a sospettare che qualcosa non andasse per il verso giusto, ma presi a mentirgli spudoratamente. Non volevo che si preoccupassero per me, né tantomeno che si intromettessero nel mio rapporto già fin troppo difficile con Gennaro. 
La sera del quinto compleanno di Sveva, però, successe l’inevitabile. 
Eravamo tutti a cena a casa dei miei quando, portando la torta in tavola, inciampai nella bambola preferita di mia figlia, e caddi. 
La panna si sparse un po’ dappertutto, provocando l’ilarità generale. 
Qualcuno, però, non ne fu affatto felice. 
Quella torta mi è costata ben 30 euro! Se non avessi messo quei ridicoli tacchi, non saresti caduta!”, esclamò Gennaro. 
Mio padre non fu felice del suo atteggiamento, e gli chiese di darsi una calmata, perché incidenti del genere capitano a chiunque. 
Fu allora che, in preda ad uno dei suoi raptus di follia, gli intimò di chiudere la bocca e di farsi gli affari suoi, sbattendo le mani sul tavolo in un rombo assordante. 
Lo sgomento di papà mi lasciò senza parole. 
Restarono tutti impietriti. 
Sveva, spaventata, corse da Gennaro e, piangendo, gli chiese di non picchiarmi. 
Fu lì che i miei genitori ebbero la conferma ai loro sospetti. 
Smettila di frignare! Sei più stupida di tua madre!”, urlò Gennaro, dandole uno schiaffo. 
Giuro che quella era la prima volta che la colpiva. Io, ormai, ero abituata alle sue percosse, ma mia figlia non avrebbe mai dovuto subire le stesse angherie. 
Mamma cacciò tutti di casa e, abbracciandomi, mi disse che non avrei dovuto mai più avere a che fare con loro. Non appena Sveva si addormentò, le raccontai tutta la verità. 
Non ero mai caduta dalle scale, né avevo mai urtato il viso contro lo spigolo del frigorifero. 
Da circa un anno, infatti, Gennaro mi picchiava quasi ogni giorno, sotto lo sguardo attento dei suoi, che non facevano nulla per fermarlo. 
La mattina seguente, mio padre si recò a casa loro per prendere tutte le mie cose, e quelle della bambina. 
Non ha mai voluto raccontarmi la dinamica dell’incontro, ma so che, da allora, Gennaro prese a farsi sentire e vedere sempre meno spesso, finché alcuni amici comuni lo convinsero a rivolgersi ad uno psicologo, per porre fine ai suoi attacchi d’ira. 
Sono passati sei anni e, dicono, lui è un uomo nuovo. 
E’ sempre molto presente ed affettuoso con Sveva ma, sebbene milioni di volte mi abbia chiesto di riprovare a stare insieme, non ho mai accettato. 
Anch’io ho seguito un percorso da un’analista. 
Mi ha fatto capire che il rispetto per me stessa è più importante di qualsiasi altra cosa, e che l’amore e la paura non sono condizioni che sussistono nello stesso rapporto. 
Mia figlia è una bambina serena. 
Se avessi continuato a restare imprigionata in quelle mura, forse, oggi, non sarei qui a raccontarlo o, peggio, non ci sarebbe lei. 
In un certo senso ringrazio Dio per quello schiaffo datole la sera del suo compleanno. 
Non mi sarei mai resa conto, altrimenti, del pericolo che correvamo entrambe. 
L’amore malato non esiste. Il sentimento è tutta un’altra cosa!

Racconto pubblicato sul numero 32
della rivista Confidenze
del 31 luglio 2018

27 commenti:

  1. I discorsi a questo riguardo sarebbero lunghi ed articolati. Che esistano uomini bastardi è fuor di dubbio, ma ritengo che non si debba mai tollerare la minima uscita di strada. Ritengo che certa gentaglia non cambia dalla sera alla mattina, bisogna saper scorgere con chi incastriamo le nostre esistenze, e se anche - per tutti i motivi che vuoi - siano sfuggite tutte le pur minime avvisaglie, quando le cose diventano insostenibili NON SI DEVE GIUSTIFICARE PIU' NULLA.
    ovvio che che poi si parli di tradizioni, di convenzioni, di educazioni, di modi di vivere.. ma la violenza deve essere stoppata subito. E' un percorso lunghissimo e complicato, lo so.. ma ancora oggi, devo leggere di ragazze che sottostanno alle peggiori angherie in nome di un amore fasullo, sdoganato solo dall'ignoranza e dalla sottocultura. C'è bisogno di educare, di emancipare, di rispettare, di amare davvero.
    Ma cosa parlo a fare in un paese dove ancora viene permesso che bimbe minorenni si vendano per strada...e solo perché ci sono uomini/bestie che comprano.. c'è tantissima strada da fare... un mare di strada Claudia cara...

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    1. Sì Franco, hai ragione.
      Un mare di strada in salita.
      Eppure, posso garantirti che da donna indipendente ed emancipata quale sono, non so se riuscirei a scappare via al primo ceffone.
      Se un marito è stato sempre fedele e garbato ti sorge immediata la giustificazione che possa trattarsi di un raptus di follia dovuto allo stress, magari ai debiti.
      Per fortuna non posso neppure lontanamente immaginare.
      Eppure, una volta ho lanciato una padella così forte sul pavimento da romperla.
      Eppure non sono una persona violenta. Assolutamente. Ma ero molto stressata.
      Attenzione che non voglio giustificare questi omuncoli, ma magari le donne che sperano si tratti di un caso isolato, un pochino sì.
      Al secondo schiaffo, però, defenestro te, i tuoi stracci e le chiavi della tua automobile..

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  2. "Non ha mai voluto raccontarmi la dinamica dell’incontro, ma so che, da allora, Gennaro prese a farsi sentire e vedere sempre meno spesso, finché alcuni amici comuni lo convinsero a rivolgersi ad uno psicologo, per porre fine ai suoi attacchi d’ira.
    Sono passati sei anni e, dicono, lui è un uomo nuovo".

    Potrebbe essere veramente cambiato.

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  3. Il problema non è rimettersi insieme ma l'esistenza di un amore reciproco.

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    1. Se l'amore reciproco esiste, queste vicende non accadono.
      E poi, gli uomini non cambiano.
      Lo diceva anche Mimì.

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  4. Fa un male cane questo racconto perché è facile intuire quante storie simili vengano taciute, tenute segrete, mentre l'odio e la violenza crescono in casa e tutti fanno finta di nulla.

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    1. Hai proprio ragione.
      Quanto siamo fortunate noi donne che non possiamo neppure immaginare quanto soffrano queste mamme e mogli?!
      Che poi si continui a tacere è, effettivamente, aberrante.

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  5. Maro' che magone mi è venuto a leggere la tua storia. E' proprio così: in tanti casi la violenza cova per poi esplodere. La cosa positiva della storia è che Gennaro ha smesso di perseguitare la sua donna. Purtroppo in genere il Gennaro di turno continua a perseguitare l'ex compagna e quella figlia, che nei litigi con la madre aveva di fatto ripudiato, finisce per essere la scusa ("voglio rivederla") per portare avanti i suoi piani persecutori..

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    1. Diciamo che siamo pari.
      Tu il magone l'hai fatto a venire a me, con questo commento.
      Quanto hai ragione!
      La cronaca è piena di femminicidi che seguono proprio questa dinamica.
      Amarezza.

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  6. Quante storie come questa si leggono , e poi , ci sono quelle che
    non vengono alla luce . Non x scusarli ma , questi uomini sono
    ammalati e la loro violenza scatta x nulla . Hanno bisogno di essere
    ricoverati in una struttura che li curi e farli lavorare come
    inservienti x non gravare sul "pubblico" . Spero comunque che Lei
    non ritorni più a vivere con lui, ma solo fargli vedere la bimba
    Non si sà mai , la violenza potrebbe sempre ricominciare .
    Tanti auguri , donna coraggiosa , a te e bimba . Vi abbraccio . L.A.

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    1. No Laura. Stando a quello che mi ha raccontato non ha la minima intenzione di tornare con lui.
      Sostiene di non amarlo più e di essere "guarita".
      Questo mi rende felice.
      Buona giornata a te. 😚

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  7. Cara Claudia, purtroppo questo amore, che io definisco! Malato, si sta propagando sempre di più, è una cosa che preoccupa la società intera.
    Ciao e buon pomeriggio con un forte abbraccio e un sorriso:-)
    Tomaso

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    1. O forse adesso se ne parla semplicemente di più, mentre prima restava in famiglia..
      Buona giornata a te.
      A presto. 😚

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  8. Al di là del storia, più comune di quanto si potrebbe pensare, mi fa pensare il comportamento di Gennaro. Perché è cambiato da un momento all'altro? La violenza non è innata ma si forma durante i primi anni di vita, mica a 20 anni.

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    1. Magari fino ad allora si era semplicemente contenuto.
      Forse i suoi genitori sapevano che era un violento, ma lo nascondevano.
      Non so risponderti diversamente..

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  9. RAcconto stupendo! E quanta realtà in esso!
    Purtroppo queste cose capitano e oso dire sempre più spesso. O per lo meno se ne parla di più.
    Accettare queste violenze è terribile.Non fanno male solo fisicamente ma anche psicologicamente. Rendono succubi. Distruggono. Annientano.
    Ribellarsi d'altro canto non è facile. Reagire e prendere i figli e andarsene non è così semplice o immediato. E' anhe doloroso dopo una vita e dei figli insieme.
    Il problema grande è che chi non ci è passata non può dire come reagirebbe. Non lo sappiamo! Anche se ad un'amia in quelle condizioni consigliamo caldamente di denunciare il violento e lasciarlo... capitasse a noi, cosa faremmo?????

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    1. Esatto Patricia.
      E' proprio quello che cercavo di spiegare a Franco.
      Non è sempre facile prendere decisioni, anche perché molte di queste donne sono completamente soggiogate psicologicamente e fisicamente da questi mostri.
      E' un po' quello che avviene con la Sindrome di Stoccolma...
      Mamma mia.
      Ho la pelle d'oca.

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    2. Sarà che io dubito sempre di chi dice al tuo posto io farei...
      Non lo so cosa farei!!! A parte il fatto che se il mio maritino (1.86 x oltre 90 chili) mi desse uno schiaffo (nemmeno 1.60 per meno di 60 chili) mi farebbe girare subito l'occhio :)

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    3. Beh dai, io sono fortunata anche in questo...
      1.70 su circa 65 chili.
      E' vero che mio marito è alto 1.83, e pesa almeno venti chili più di me, ma scommetto che saprei difendermi, dai.
      Nel dubbio, un bel calcione dove non batte il sole e almeno prendiamo tempo.
      Ma sì, sdrammatizziamo un po'. Solo tu potevi farlo così bene. :*

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    4. @Patricia: in pratica se ti dà uno schiaffo ti schiaccia come una zanzara!

      @Claudia: ao, tuo marito ha la mia età, la mia altezza e circa il mio peso... si chiama pure Emanuele?

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    5. Ahahah
      No. Si chiama Leonardo.
      E ha i capelli corti, se no non sarebbe più mio marito. 😜

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  10. Quello che mi lascia basita, oltre all'atteggiamento di questo disgraziato, è l'atteggiamento di quei due suoceri che non muovono un solo dito, ciò denota che tutta la famiglia di lui è sballata e dovrebbe farsi curare. Terrificante come ancor oggi sovente l'uomo imponga la sua maschilità, che schifo.
    sinforosa

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    1. Mi credi che è stato l'aspetto che mi ha fatta rabbrividire di più?
      Eppure non è un caso isolato.
      Purtroppo.

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  11. Il tuo racconto, mi ha dato una forte emozione, dirti che scrivi con grande eleganza sarebbe poca cosa ... io non sono stata male nel leggere questo racconto, ma di certo la protagonista va stimata per il coraggio avuto in tutta la vicenda; tu di me sai un fatto. Sai come ho reagito a questo fatto. Un braccio non va. l'altro fa per due, uno così non avrebbe visto la luce del giorno ah ah ah ... scherzo ma sai come ho reagito io. Comunque alla tua bravura di narratrice un vero encomio, sei fantastica! complimenti un forte abbraccio :)

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    1. Io, come ho detto, avrei forse optato per un calcio nelle parti basse.. Per il destro ci vuole buona mira.. 😂😂
      Grazie a te per le tue belle parole che non mancano mai.
      Spero tanto che presto potremo condividere anche un'abitudine.. 😉❤

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  12. "Amore" è una parola che in definitiva non dovrebbe essere neppure pronunciata in circostanze come quelle raccontate da te (in modo davvero efficace e coinvolgente, brava!).
    E' un così tanto un controsenso, un paradosso, che mi fa rabbrividire ogni volta che sento o leggo una storia come quella di questa giovane donna.
    Tutto il mio sostegno e la mia ammirazione per lei, per il suo coraggio. Perchè è facile dire "basta andare via e lasciare un mostro simile"... è invece davvero difficile calarsi sul serio nei panni di una vittima di violenza domestica se non lo si è provato sulla propria pelle.
    Buonanotte di nuovo e un abbraccio!

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    1. È proprio quello che ho provato a spiegare anch'io.
      Siamo tutti bravi a ragionare sulla pelle degli altri, a maggior ragione quando la nostra è al sicuro.
      Grazie per i complimenti sulla mia penna.
      Un abbraccio.

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