La storia vera di Lorenza Celli (in foto)
Avevo solo sedici anni la prima volta che il demone bussò alla mia porta.
Solo molto tempo dopo i medici riuscirono a dargli un nome: anoressia restrittiva.
Mangiavo sempre meno e l’appetito diventava ogni giorno più inesistente, ma non riuscivo a rendermi conto di avere un problema.
Pesavo 45 chili, nonostante fossi alta un metro e settanta centimetri, ma era come guardarmi attraverso una lente d’ingrandimento. L’immagine che vedevo riflessa nello specchio delineava una ragazza in sovrappeso, con i fianchi troppo rotondi, le cosce grosse ed unite.
Sarà che, a causa di gravi turbolenze familiari, non ero mai stata una bambina e poi una ragazza serena. Nessuno mi aveva insegnato ad amarmi.
Qualche mese dopo, scoprii di essere incinta e dovetti dire addio alla mia adolescenza.
Decisi, però, di non abortire, nonostante il dissenso dei miei genitori, e di dare alla luce quella che sarebbe stata la mia salvezza, Ylenia.
Nel terrore di farle del male, infatti, ricominciai a mangiare, prendendo ben ventisei chili e partorendo una bambina in perfetta salute.
Suo padre provò a starci vicino, ma eravamo così giovani e non riuscì a sobbarcarsi il peso delle responsabilità.
Quindi, eravamo io ed Ylenia, sole contro il mondo.
Scelsi di non restare a casa con i miei genitori, poiché non volevo che mia figlia crescesse sotto l’influenza negativa di mio padre.
Perciò cominciai a darmi da fare per riuscire a mantenere me e la bambina, con un affitto da pagare e le bollette sempre più frequenti ed onerose.
Mi iscrissi ad una serie di corsi privati di specializzazione che mi permisero di diventare personal trainer, dato che lo sport era sempre stata la mia passione più grande.
Nei successivi dieci anni fummo costrette ad affrontare tantissimi traslochi, cambiando ogni volta sede di lavoro ed amicizie, rinunciando alle abitudini che ci permettevano di essere serene.
Sarà stata l’esigenza di trovare una spalla su cui appoggiarmi, la fiducia nell’amore nonostante tutto, o l’incoscienza, ma finii tra le braccia dell’uomo sbagliato, che dopo avermi illusa mi spezzò il cuore.
Dalla nostra unione nacque Giuly e adesso ero nuovamente sola, ma con due bambine di cui prendermi cura.
Tornammo, quindi, in paese per far sì che mia madre e mia zia potessero darmi una mano, pur non lasciando il lavoro a Rimini.
Mi recavo ogni giorno in palestra a bordo della mia utilitaria, fedele compagna di sventure, finché anche questa non mi abbandonò.
A causa di un incidente stradale, infatti, fui costretta a demolirla e non avendo la possibilità economica di acquistarne un’altra, decisi di cercare lavoro a Novafeltria, ma senza risultati.
Nell’arco di pochi mesi, poi, fui costretta ad affrontare due lutti gravissimi.
Zia Iride era stata il pilastro della mia vita, l’unica da cui avessi mai ricevuto amore sincero e supporto morale, e mi lasciò quando ancora i suoi abbracci mi servivano come il pane, a soli 65 anni.
Anche nonna Antonia morì prematuramente.
Come se non bastasse, papà si trasferì in Portogallo, lasciando mia madre in balìa dei debiti e di una depressione sempre più grave che la portava ad annullarsi completamente.
Fu quando si ruppe il braccio ed il femore, però, che dovetti prendere inevitabilmente le redini della sua vita.
Oltre al lavoro e alle mie figlie che necessitavano di amore ed attenzioni costanti, quindi, dovetti sobbarcarmi il peso di questa nuova responsabilità, ed accudire mia madre in quelle che erano le più banali azioni quotidiane che ciascuno di noi compie, cercando sempre di non farle mancare il giusto supporto morale che le permettesse di uscire dal tunnel.
Quello di cui non mi rendevo conto, però, è che tutto questo era troppo per le spalle di una trentasettenne a cui la vita aveva già tolto tantissimo.
Fu così che mi ammalai di nuovo. Stavolta il mostro si chiamava bulimia, e si manifestò in tutta la sua prorompenza e crudeltà.
Potevo mangiare otto brioches al bar, senza mai sentirmi sazia. Però, l’idea di ingrassare mi disturbava e quindi, anziché indurmi il vomito, correvo e mi allenavo sempre più intensamente, per smaltire la mole eccessiva di calorie che assumevo.
Il mio tono muscolare, però, cominciava a cedere, e le energie ad abbandonarmi sempre più, finché fui costretta nuovamente a rivolgermi agli esperti.
Ne conseguì un lungo valzer tra nutrizionisti, psicologi, psichiatri ed internisti che provarono ad imbottirmi di farmaci. Peccato, però, che questi mi facessero più male che bene, in quanto mi provocavano una terribile emicrania e dei dolori articolari che mi inibivano i movimenti.
Quindi, contro ogni logica, decisi di mollare tutto e di ricominciare da me.
Affittai una sala in paese e vi aprii la mia palestra, sperando che potesse essere la svolta che mi aiutasse a reagire alla malattia.
Come al solito, ero sola ad affrontare il tutto. Io, le mie guerre e la bulimia che voleva fagocitarmi.
Ero sempre più chiusa e diffidente e preferivo rintanarmi nel mio dolore, piuttosto che sfogarmi con qualcuno e accettare una mano.
Pochi mesi dopo l’avvio della mia attività, Ermes, un istruttore di kung fu, mi propose di venire a lavorare nella mia palestra, e decisi di dargli una possibilità, pur mantenendo una certa distanza da lui.
Col passare dei mesi, però, la fiducia crebbe inevitabilmente e cominciai a parlargli della mia malattia. Devo dire che provò varie volte a corteggiarmi, o ad invitarmi per un appuntamento, al fine di farmi uscire dal guscio, ma la mia risposta fu sempre negativa.
Io, il cibo e le bambine potevamo bastarci.
Così continuava la mia corsa contro il tempo. Più mangiavo e più mi sentivo costretta a sottoporre il mio corpo a duri allenamenti, finché Ermes decise che non potevo più farmi del male in quel modo, ma dovevo imparare a volermi bene e, soprattutto, a lasciarmene volere da chi mi circondava, partendo proprio da lui.
Accettai, quindi, di affacciarmi al mondo del kung fu, ponendomi nuovi obiettivi.
Volevo prendere una cintura dietro l’altra, per capire se il mio corpo stanco e bistrattato potesse ancora essermi alleato al punto di ricominciare a sognare.
Nell’arco di tre mesi ne conquistai ben tre, un risultato grandioso, considerando che solo per ottenere la prima occorre almeno un anno di esercizio.
Finalmente, mi sentivo fiera di me ed il cibo cominciò a non essere più una priorità.
Ermes ed io guardavamo nella stessa direzione, sia in termini professionali che umani.
L’amore fece tutto il resto.
Non avevo le ali, perché la vita aveva scelto di tarparmele moltissimi anni prima, ma lui mi offrì le sue e cominciammo a volare.
Insieme. Io che avevo sempre brancolato nel buio da sola, adesso potevo ammirare il mondo dall’alto, abbracciata ad un uomo che mi amava come avevo sempre creduto di non meritare.
Oggi conviviamo assieme a Giuly, e siamo felici.
Ylenia ha trovato la sua strada e a breve mi renderà nonna.
Non ho più demoni con cui combattere, anzi, non sono più sola a doverlo fare. Ogni volta che anche per una banale influenza qualche mostro torna a bussarmi, Ermes sfodera la sua spada migliore, e lo trafigge fino a farlo soccombere.
Gli dico sempre che sono molto fortunata, nonostante tutto, e ne sono convinta.
Perché, dopo una vita trascorsa in trincea, facendo affidamento soltanto su me stessa, ho scoperto che l’amore è la vera soluzione, ed arrendermi alla magia di un sentimento che mi colora il cuore d’infinito mi rende felice.
Oggi, mi guardo allo specchio e non mi vedo più grassa, né debole, né brutta.
Vedo Lorenza, la combattente che non ha mai mollato la presa e che può finalmente godersi una vita che ha ancora tanto da darle o che, forse, comincia proprio da qui, dal posto in cui ha trovato la forza e la voglia di tornare a sognare. Per non smettere mai.
Racconto pubblicato sul numero 29
della rivista “Confidenze”,
pubblicato il 9 luglio 2019
Caspita che storia! Lorenza esiste?
RispondiEliminaCertamente.
EliminaÈ la ragazza che vedi in foto.
Si chiama Lorenza Celli.
Tutte le storie che scrivo per Confidenze sono vere, ma alcuni protagonisti mi chiedono di conservare l'anonimato, quindi uso nomi di fantasia.
In questo caso, invece, è tutto nero su bianco.
Che bella storia ♡.♡
RispondiEliminaVedo Lorenza, la combattente che non ha mai mollato la presa e che può finalmente godersi una vita che ha ancora tanto da darle o che, forse, comincia proprio da qui, dal posto in cui ha trovato la forza e la voglia di tornare a sognare. Per non smettere mai.
EliminaIo a questa convinzione non ci sono ancora arrivata ma ci sono vicina!! Lo sento!
Spero che tu ci sia vicinissima.
EliminaUn giorno, se vorrai racconterò anche la tua storia.
Sarebbe un onore per me. 😗
Quando avrà un lieto fine ♡
EliminaAllora spero prestissimo.. 😗
EliminaCara Claudia, all'inizio mi son preoccupato, poi capi che non si trattava di te.
RispondiEliminaMamma mia che storia turbolente, meno male che in un modo oppure nell'altro le cose non sono andate a finire in tragedia, che purtroppo succedono.
Ciao e buona giornata con un forte abbraccio e un sorriso:-)
Tomaso
Io ho vissuto altri drammi, ma mai questo genere di problemi.
EliminaOnore a chi ne esce più forte di prima.
Buona giornata a te.
Ma hai intervistato una delle clone-blogger per questa storia? XD
RispondiEliminaComunque, a parte gli scherzi, a volte davvero si superano delle cose che fanno pensare che siamo dei sopravvissuti, sai?
Moz-
Lo siamo un po' tutti.
EliminaE no, nessuna finzione, purtroppo.
È un racconto fedele alla storia originale al cento per cento. E ti dirò di più..
Ho omesso molti dettagli amari.. 😓
Grazie Lorenza!!Sei un esempio di forza.....
RispondiEliminaUna roccia!
EliminaGrazie a te per averla letta e apprezzata.
RispondiEliminaLo scopo mio e di Lorenza è proprio di dare forza a tutte le donne fragili ma guerriere come noi.. ♥️
Grazie Claudia e grazie Lorenza. E' stata forte, dopo aver passato anni di problemi... l'amore ha vinto!!! Non sempre è così, a volte chi ti tiene "sotto una campana di vetro" per il troppo amore, sbaglia... e una persona fragile non riesce più a reagire. Ciao Claudia.♥♥♥
RispondiEliminaSpero che anche tu prima o poi vincerai la tua battaglia.
EliminaUn abbraccio.
Caspita, che donna.
RispondiEliminaVita durissima, travagliata, cosparsa di ostacoli. Spero davvero che d'ora in avanti la vita gli sorrida ogni giorno. In bocca al lupo!!
Sono certa che sarà così. <3
EliminaSei una donna speciale. Di più.
RispondiEliminaMaurizio
Lorenza lo è.
EliminaIo ho solo raccolto la sua testimonianza.
Grazie Claudia di aver condiviso una storia così difficile da un lato ma poi anche il riscatto dall'altro... chissà possa essere d'aiuto a chi non vede la luce in fondo al tunnel ♥
RispondiEliminaLo spero tanto.
EliminaE grazie a te per averla apprezzata. 😗
8 Brioches e poi corsa per non mettere sù peso.
RispondiEliminaE un pò il mio karma anche se io per fortuna non ho avuto le brutte esperienze della protagonista della tua storia.
Io son sempre della convinzione che da soli non si riesce a venire fuori da questi disturbi.
Lei ha dimostrato di avere in primis ad un certo punto la forza di volontà di uscirne (indispensabile per qualsiasi percorso )e la fortuna di trovare qualcuno che l'ha aiutata.
Nonostante tutte le sue disgrazie, è stata molto fortunata.
EliminaTu, però, molla le brioches.. 😜
La forza di volontà è tutto, senza non si va da nessuna parte, lei invece tanta ed è stata bravissima :)
RispondiEliminaUn esempio per tanti di noi che si lamentano del nulla e gettano la spugna davanti al primo ostacolo.
EliminaBellissima storia di coraggio ed amore.
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